Un viaggio nella storia dell'agricoltura in compagnia di Ampleto Moretti, collezionista e testimone prezioso della tradizione contadina
Un’insegna a caratteri cubitali e dorati ostenta orgogliosa la scritta Museo.
Più in basso, un improbabile araldo ligneo specifica che si tratta di antichità di proprietà della famiglia Moretti.
Un po’ in disparte, un cartello impone perentorio il divieto di entrare.
Il combinato disposto di tre elementi che configurano emblematicamente il carattere dei marchigiani.
Orgogliosi, fieri e schivi. Gente abituata al lavoro, al saper fare, ma senza autocompiacimento. Il Museo della civiltà contadina e artigiana delle Marche non è propriamente una struttura espositiva nel senso comune del termine.
Non esiste un biglietto d’ingresso. Il visitatore è solo un accidente. È un ospite. Ma solo se va a genio a quello straordinario personaggio che è Ampleto.
In questo caso la visita diventa un viaggio nella storia dell’agricoltura.
Altrimenti il locale torna a essere quello per cui è stato concepito, un capannone per il ricovero degli attrezzi. Nulla più che la pertinenza di un’attività agricola. In cui è vietato entrare.
Eppure questa incredibile collezione privata situata nella Contrada Bore di Fiano, in quel di Monte Giberto, nasconde un tesoro inestimabile.
Una raccolta di attrezzi storici, macchinari agricoli e oggetti di uso quotidiano da far invidia a realtà ben più blasonate.
Circa duemila pezzi (probabilmente sono molti di più) acquistati in giro per l’Italia e minuziosamente catalogati per funzione e anno di produzione.
Un’attività ininterrotta e compulsiva, quella di Ampleto Moretti di professione coltivatore diretto, durata molti decenni.
Quanti, non c’è dato saperlo. Gli unici elementi che abbiamo sono che il curatore custode della mostra ha un’età veneranda e che ha cominciato a comprare manufatti, arnesi e ammennicoli dai rigattieri fin da quando faceva la terza elementare.
Poi è venuto l’interesse per i trattori, ne possiede davvero di storici di tutte le marche più note italiane ed estere, così come per le trebbie. La passione di una vita, condivisa dalla moglie Ada e dai figli, che pur ufficialmente preoccupati da tante spese, sono a tutt’oggi i suoi più grandi sostenitori ed estimatori.
Visitare il museo è immergersi in un altrove dove la storia sembra essersi fermata. Ogni angolo riserva una sorpresa.
Dalla lavatrice elettrica degli anni trenta fino all’organetto a pedale da chiesa di epoca imprecisata.
Un crescendo imprevedibile di suggestioni incarnate negli oggetti più originali e stravaganti come la serie di clisteri in vetro o gli affilatori meccanici da lamette da barba.
Tanto da aver affascinato anche Pupi Avati che per girare le scene del film “Il cuore grande delle ragazze” ha fatto largo uso di materiale scelto nel museo di Monte Giberto.
Quel che c’è di veramente incredibile è che d’ogni oggetto Ampleto ricorda la provenienza e quanto l’ha pagato rispetto al valore attuale che rileva durante le sue continue peregrinazioni tra i mercatini di antiquariato e modernariato.
Ma l’esperienza non si esaurisce nel percorso del museo perché Ampleto è un vulcano di ricordi. Impossibile interromperne il profluvio di racconti e aneddoti, dalle sorprendenti doti di rabdomante che con la bacchetta biforcuta riesce a scoprire l’acqua nei terreni, fino alla sua capacità di leggere i sogni (e secondo la leggenda anche di vincere al lotto).
Un personaggio talmente integrato con la terra e con i cicli della natura da ricordare figure sciamaniche di culture lontane.
Senza spingersi troppo oltre con la fantasia, Ampleto Moretti è senza tema di smentite il Genius Loci di Monte Giberto. Il titolo se l’è guadagnato sul campo.